“Uno sforzo insensato, ma lo rifarei”. Basta questa frase per comprendere l’intensità di quanto ha saputo realizzare Silvan Schüpbach. L’atleta Karpos ha sfidato l’enorme parete calcarea del Wenden, un muro su cui corrono alcune delle vie più dure delle Alpi, riuscendo a portare a termine l’ambizioso progetto di salire 7 vie in 7 settori nell’arco di sole 24 ore, senza soluzione di continuità.
Uno scalatore che fa il 7a in Wenden lo fa dappertutto e su qualsiasi protezione, dicono. Un’enorme bastionata calcarea, dove le vie sono fisiche e difficili, e gli avvicinamenti sono complessi e lunghi. Su questa pietra eccezionale corrono alcuni degli itinerari più difficili delle Alpi, vie che richiedono totale autocontrollo. Una semplice distrazione, una banale disattenzione qui possono avere esiti severi, anche tragici. È questo l’ambiente selvaggio, severo e spettacolare dove si è mosso il nostro Silvan Schüpbach. Abile scalatore svizzero, per lui non è il primo approccio a questo verticale mondo calcareo. Già in passato ha avuto modo di testarsi su Polenta con farina degli altri, difficile via multipitch di 500 metri, gradata 8b. Questa volta Silvan ha deciso di superarsi cercando di fare ancora meglio e immaginando un nuovo e ambizioso progetto: salire 7 vie in 7 settori nell’arco di sole 24 ore, senza soluzione di continuità. “Un progetto che mi è sempre sembrato impossibile” spiega lo svizzero che annovera nel suo curriculum spedizioni in tutto il mondo. Tra queste diverse esperienze in stile alpino che l’hanno portato all’apertura di vie su pareti e montagne vergini di Patagonia, Groenlandia e Pakistan. Un progetto che svela un legame profondo con questa iconica parete della Svizzera e delle Alpi. Un’ambiziosa realizzazione che ha portato Silvan al suo limite fisico e mentale, che gli ha permesso di entrare in un contatto intimo con la storia di questo luogo vissuto e “consumato” dai migliori climber al mondo.
Silvan, qual è il tuo legame con Wenden?
Sono passati oltre vent’anni dalla prima volta in cui sono venuto fin qui. Ricordo ancora come lo stile richiesto da questa parete (un’arrampicata verticale, su placca, con runout) non mi si addicesse per nulla. Ad affascinarmi è stato il territorio, un ambiente grandioso da vivere. Così ho deciso di spendere del tempo (molto) per imparare ad affrontare questi itinerari.
Oggi essere sotto alla parete del Wenden è come essere a casa, o come incontrare un vecchio amico. Non è solo una questione di prestazione o di grado. Non appena metto mano su questa roccia succede qualcosa di speciale: mi sento bene e carico di energia, eccitato. Non corta che sia una via difficile o facile, l’importante è essere qui.
Quando hai iniziato a immaginare il progetto 7×24?
È una sfida difficile, che ho sempre ritenuto impossibile, o quasi. L’arrampicata spesso non è semplice, ci sono sezioni molto spaventose da salire. Fare le doppie e cambiare settore richiede tempo. Tanti motivi per abbandonare l’idea.
Allora perché ci hai provato?
Quest’anno sarei dovuto partire per una spedizione, purtroppo saltata. Così mi sono messo a lavorare su questo progetto ricercando soluzioni utili a eliminare tutte le criticità del caso. Ho salito tutte le vie inserite nel progetto e ho valutato il modo migliore per spostarmi da una all’altra, quindi come gestire la necessità di dover cambiare settore. La decisione finale è arrivata sulla base di valutazioni logistiche e organizzative, più che sul livello della prestazione atletica.
Quali vie hai scelto di affrontare?
Nel settore Mähren la via Gemini (200 m, 7c, 6 tiri); nel settore Pfaffenhut la via Dragon (300 m, 6c, 7 tiri); nel settore Excalibur la via Excalibur (350 m, 6b+, 9 tiri); nel settore Dom la via Legacy (350 m, 7b+, 9 tiri); nel settore Aureus la via Aureus (350 m, 6b+, 10 tiri); nel settore Klein Wendenstock la via Las Aguas del Inferno (200 m, 7a, 4 tiri); nel settore Reissend Nollen la via Imago (250 m, 7b, 6 tiri). Questo per un totale di 2000 metri di scalata e 41 tiri.
Quale di queste ti ha ingaggiato maggiormente?
La più dura a livello tecnico è stata Gemini, che ha rappresentato un inizio abbastanza difficile. Soprattutto farla al buio, alle 3.30 del mattino, subito dopo il caffè. Quella più complessa da gestire è stata sicuramente Imago, l’ultima. Una via tecnica, affrontata dopo un grande sforzo. Stavo scalando con i piedi gonfi, la lampada frontale e la testa stanca da tante ore in parete. Venti ore, per l’esattezza. È stato un grande sollievo quando Carlos Molina, il mio compagno di cordata, si è offerto di salire gli ultimi due tiri.
Hai parlato di un grande lavoro organizzativo dietro al progetto, qual è stata la complicazione maggiore?
Incastrare i tempi. Carlos era molto impegnato con il suo lavoro, per questo non ha potuto accompagnarmi quando sono andato a provare le vie che ancora non conoscevo. Ho avuto la paura che il mio compagno non fosse abbastanza motivato ed entusiasta verso questa esperienza, e non ero certo che sarei stato capace di trasferirgli il mio entusiasmo e la mia conoscenza degli itinerari. Cosa dire adesso? Non potevo desiderare un compagno migliore: le sue abilità in parete e il suo impegno sono stati la ragione del nostro successo.
Quale invece la maggiore difficoltà in parete?
Sicuramente la discesa in corda doppia, generalmente pericolosa. È facile da fare, ma è anche facile commettere un errore fatale. Mentre scendevo in doppia da Las Aguas del Inferno mi sentivo molto stanco e nell’ultima doppia abbiamo dovuto superare un grande nevaio compromesso dal caldo estivo. Si era formato un crepaccio che ha richiesto concentrazione e tempo per essere gestito in sicurezza. Sicuramente questo è stato uno dei momenti più complessi di tutto il progetto. Un progetto come questo richiede condizioni perfette…Le condizioni sono fondamentali per questo tipo di progetti. Siamo stati molto fortunati. Solitamente in estate fa troppo caldo, mentre in autunno le giornate sono molto brevi. Noi abbiamo trovato una giornata nuvolosa e ventosa, esattamente quello che speravamo!
Com’è stato riuscire a completare il progetto?
Siamo tornati alla macchina alle 5:30, 27 ore dopo aver iniziato a scalare. Era un’alba bellissima e mi sentivo felice, ma anche stanco e svuotato. Mi ci è voluta più di una settimana per riprendermi completamente. Il Wenden ora è un ricordo indelebile, un segno profondo che mi fa sorridere ogni volta in cui mi trovo a incrociare con lo sguardo la parete. Ogni tanto mi viene anche da ridere di me stesso, perché se la montagna avesse una coscienze non potrebbe fare altro che pensare allo sforzo inutile e insensato che mi ha richiesto questo progetto… ma lo rifarei.
INFO: Karpos